Narciso della preghiera

La preghiera è un’espressione universale dell’umano; essa attraversa trasversalmente tutte le religioni dell’uomo, di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Eppure, più che occasione di dialogo, può diventare esercizio di autoproclamazione e l’orante, più che relazionarsi a Dio, diventa un Narciso della preghiera che, in Dio, omaggia il suo ego.

Come il Fariseo della parabola raccontata da Gesù!

Salito al Tempio per pregare, inizia con le parole giuste, O Dio, ti ringrazio, ma poi si perde in un soliloquio gratificante che esalta unicamente le sue virtù. Sant’Agostino, nei suoi discorsi commentava: “Era salito per pregare; ma non volle pregare Dio, bensì lodare se stesso” (Discorsi 115,2).

Questo atteggiamento è reso molto bene da una meraviglia mosaicale che possiamo contemplare nella Chiesa di sant’Apollinare Nuovo a Ravenna.

Parabola del Fariseo e del Pubblicano, 493-526, Sant’Apollinare Nuovo, Ravenna.

Davanti all’apertura del  tempio si scorgono due figure maschili. Quello di destra, sontuosamente vestito, è l’orante che innalza le braccia allargando i palmi delle mani. Ma, al di là delle apparenze, altro è il suo scopo: la postura  spavaldamente retta  e l’espressione superba del viso, indicano il forte egocentrismo che non si  sgretola neppure al cospetto di Dio.

Sul lato sinistro c’è il pubblicano; indossa vestiti dimessi. Ha il capo umilmente reclinato verso il centro della scena e si batte il petto con la mano destra, in segno di umiltà; ma soprattutto si volge verso l’apertura del Tempio dove la tenda annodata indica la presenza di Dio. La vera preghiera è proprio questo: cercare Dio per poi lasciarsi avvolgere dal suo respiro. Kierkegaard nel suo diario sosteneva che la preghiera è il respiro dell’anima: Giustamente gli antichi dicevano che pregare è respirare. Qui si vede quanto sia sciocco voler parlare di un “perché”. Perché io respiro? Perché altrimenti morrei. Così con la preghiera.