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Date a Cesare quel che è di Cesare

Restituite a Dio ciò che è suo

Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. E’ una frase famosa, attribuibile storicamente a Gesù;  nota a tal punto da essere tutt’ora utilizzata nel linguaggio quotidiano come detto sulla giustizia.

Forse meno noto è il contesto in cui Gesù ha pronunciato tali parole, riportate da tutti i vangeli sinottici. Alcuni farisei ed erodiani pongono a Gesù una domanda capziosa sulla liceità del tributo a Roma.  Si tratta del denarius che tutti gli ebrei dovevano pagare ogni anno all’imperatore. Il problema era molto spinoso e aveva causato non poche ribellioni perché andava oltre l’impegno economico. La moneta d’argento utilizzata,  riportava su una faccia l’immagine dell’imperatore Tiberio, con la scritta Tiberius Augusti filius Augustus, e sull’altra la scritta Summus Pontifex di Dio.  L’imperatore assommava in sé il potere politico e il potere religioso.  Tutto ciò strideva con il rigido monoteismo ebraico che riconosceva in YHWH l’unico Signore.

Gesù, come era solito fare quando intuiva che il suo interlocutore era in malafede, facendosi portare una moneta, risponde a sua volta con una domanda  chiedendo  di chi fosse l’immagine e l’iscrizione. Domanda banale che include esplicitamente la risposta. Infatti secondo il diritto romano, tutte le monete che riportavano l’effige dell’imperatore, gli appartenevano come sua proprietà privata.  Quello che è dell’imperatore, restituitelo all’imperatore... Non dice  “datelo”, ma “restituitelo“, perché è suo, c’è la sua immagine e iscrizione.

‘…Ma ciò che è di Dio restituitelo a Dio’.

Non dimentichiamo però che  Matteo, in questa sezione del  vangelo, sta parlando del Regno di Dio. Probabilmente ha utilizzato la domanda ingannevole posta a Gesù per concludere il suo discorso.  Se nel regno degli uomini, le monete devono essere restituite al legittimo proprietario, di cui  recano l’immagine,  così è anche per il Regno di Dio: deve ritornare al Padre tu ciò che di Lui è immagine: ovvero l’uomo. La potenza della risposta del Nazareno sta nel termine immagine. Il Regno di Dio è aperto a tutti coloro che recano, nella loro natura, l’immagine del diretto proprietario. E’ questa l’altissima vocazione a cui tutti gli uomini sono destinati.

L’uomo è immagine di Dio.   E’ da questo grande assioma teologico che vi propongo un capolavoro di Marc  Chagall che, attraverso il colore, riesce a dire  ciò che fiumi di parole, nel corso della storia della teologia, spesso hanno faticato.

Il quadro presenta i protagonisti non individuabili per la loro forma ma per la netta ripartizione cromatica. Adamo è giallo, simbolo della vita e del divino; Eva è verde emblema della semplicità e dell’ingenuità d’animo. Essi, per quanto distinti, sono mano nella mano, in segno di complicità e complementarietà, tanto da formare una carne sola. Sono insieme a dare l’idea di Dio. Alle loro spalle l’albero della vita, rosso-arancio e blu, simboli rispettivamente dell’amore e della spiritualità. Ma, oltre i colori c’è un altro particolare che fa delle due figure l’immagine di un Originale. I corpi sono abilmente costruiti con un’unica chiave simbolica ed ideografica: il triangolo. Nella tradizione iconografica tale figura geometrica ha simboleggiato il Dio Trinità. Abbiamo raffigurato un Adamo che in tutte le sue dimensioni diventa immagine, rimando, mimesis del Vero, Unico Dio.

Restituite a Dio ciò che è suo….Gesù invita ciascuno di noi a volgerci verso l’Originale, verso il Principio da cui abbiamo origine e di cui siamo effigie.