Il 14 settembre la Chiesa celebra la Festa dell’Esaltazione della Santa Croce, memoria antica e ricca di significato. Non solo il ricordo di un legno antico, ma apertura dello sguardo sul mistero dell’amore divino. La Croce è, insieme, scandalo e gloria: strumento di supplizio che diventa albero di vita, patibolo che si trasforma in trono.
Le radici di questa celebrazione affondano nel IV secolo, quando sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, riportò alla luce la Croce del Signore e si consacrò a Gerusalemme la basilica del Santo Sepolcro. Più tardi, nel VII secolo, la storia intrecciò un nuovo capitolo: la reliquia, trafugata dai Persiani, fu restituita e riportata in processione nella città santa. Così la memoria liturgica divenne annuncio della Croce come segno di vittoria e di salvezza, eco delle parole evangeliche: «Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me».

L’arte non poteva restare in silenzio davanti a tale mistero. Ad Arezzo, nella Basilica di San Francesco, Piero della Francesca ha consegnato al nostro sguardo uno dei vertici del Rinascimento: l’“Esaltazione della Croce”, parte del ciclo delle Storie della Vera Croce. Le dimensioni monumentali, la prospettiva limpida, l’ordine quasi musicale delle figure aprono lo spazio a una contemplazione che sa di eternità. La narrazione è intensa: l’imperatore Eraclio, piegato dall’angelo, entra scalzo in Gerusalemme, icona di un potere che si converte all’umiltà davanti al segno del Cristo.
La tavolozza di Piero, fatta di colori limpidi e di luce cristallina, trasfigura l’evento storico in epifania teologica: tutto sembra suggerire che dalla Croce non sgorga soltanto la memoria della Passione, ma un fiume di grazia, pace e bellezza che continua a fecondare la storia dell’uomo.