Sollevare la propria croce

Chi vuol seguirmi, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.

Prendere la propria croce per seguirLo!

Questo è quanto la Parola di Dio ci suggerisce questa settimana. Ma quale è il senso di quest’affermazione? A cosa si riferiva Gesù e cosa significa per l’uomo di oggi?

 Lo scrittore sacro usa il termine sollevare. Il rimando è  al momento in cui il condannato doveva sollevare da terra il patibulum, il pezzo di legno che veniva poi incastrato sullo stipes, e caricarselo sulle spalle. Successivamente usciva dal tribunale e percorreva le vie della città per arrivare al luogo deputato all’esecuzione; durante il tragitto la gente aveva l’obbligo di insultarlo, malmenarlo, sputargli addosso: era il rifiuto, il disonore, lo scandalo della città. Da quel momento la sua vita si identificava con lo strumento di condanna: la croce e il condannato erano un tutt’uno in una simbiosi simbolica indiscutibile. (Lo stesso processo di simbiosi si è avuto, fin dai primi momenti dell’era cristiana per Cristo: la croce, non rappresentava solo lo strumento di tortura del Figlio di Dio ma la sua stessa persona ed il suo messaggio).

‘Sollevare la croce’ significa quindi sollevare la propria vita, la propria persona, nella molteplicità delle sue dimensioni e dirigersi verso Cristo.

Chi vuol seguirmi, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.

In verità fin dall’antichità più remota la croce è uno dei simboli più importanti. In una molteplicità di valenze essa racchiude un unico significato: la volontà del soggetto a relazionarsi. Essa ha una funzione di sintesi, di mediazione, di comunicazione muovendosi sia in modo centrifugo, verso l’esterno, che in modo centripedo, verso l’interno. In una battuta che può sembrare banale possiamo dire che la croce unisce il cielo e la terra, il tempo e lo spazio.

Un concetto del genere possiamo approfondirlo con un’opera di Salvator Dalì, Croce nucleare, un olio si tela del 1952.

L’opera risale al periodo della ‘mistica nucleare’ dell’artista, quando cerca di sintetizzare l’iconografia cristiana in opere che esprimono il senso della disintegrazione causata dalla bomba atomica. Pur non create con una intenzionalità liturgica sono  opere di intensa  religiosità.

Il quadro raffigura un ostensorio a forma di croce, esposto su un altare ricoperto da un corporale preziosamente ricamato d’oro ma liso. Indica una sacralità ferita. Le braccia che formano la croce sono composte da una serie di cubi, figura geometrica considerata, dall’artista, la forma perfetta. In uno sfondo piattamente nero, in cui non c’è più alcun riferimento, non più alto o basso, non più tempo o spazio, sono proprio le braccia della croce cubica a  creare un movimento che dal centro si irradia verso l’esterno, in tutte le direzioni, ma che poi al centro ritorna. Al centro l’Eucarestia, simbolicamente raffigurata da un nucleo atomico: il microcosmo. In tale impianto figurativo sembrano echeggiare le parole dell’artista:“Il cielo non si trova né in basso né in alto, né a destra né a sinistra. Il cielo si trova esattamente nel centro del petto dell’uomo che possiede la fede.”

Ecco, sollevare la propria croce significa prendere la propria esistenza e dirigersi verso Colui che diventa fuoco di riferimento che ritma il nostro tempo, i nostri spazi, i nostri luoghi.