Sulle acque tempestose

Una notte tempestosa

Nel  vangelo di questa settimana ci viene descritto il famoso episodio di Gesù che cammina sulle acque tempestose del mar di Galilea. Ancora un racconto ricco di simboli molto importanti sia di carattere cristologico che ecclesiologico.

L’episodio, fin dai primi secoli dell’era cristiana, è stato ampiamente raffigurato nell’arte, basti pensare ai fregi di Maestro di Cabestany o ai mosaici di Monreale, alla tela del Tintoretto o alle tela del meno noto Amédée Varin.  Io vi propongo lo stupendo  bassorilievo di Lorenze Ghiberti che possiamo ammirare sulla porta nord del Battistero fiorentino.

L. Ghiberti, Gesù cammina sulle acque e salva Pietro, formella della porta Nord del battistero, 1403-1424, Firenze.

La pericope matteana fissa due protagonisti: Gesù e la nave con i suoi occupanti, tra essi Pietro; essi sono come immersi in tre  elementi simbolici che fin dall’antichità hanno assunto  il carattere  teofanico:  il buio, il mare e il vento. L’opera del Ghiberti  sembra essere la raffigurazione visiva di tale interpretazione: come in una miniatura, la formella di avorio, dà luce a tutti i particolari.

La notte

La notte segno di intimità, di riflessione, di mistero, di riposo ma anche segno di chiusura, di angoscia, di paura. Quella notte era per Gesù una notte di angoscia, aveva saputo della morte del Battista! Ecco perché si era ritirato a pregare; lo avrebbe fatto anche successivamente dopo l’ultima cena, nella sua ultima preghiera al Padre prima della Croce.

Era notte per Gesù,  non  solo fisica, ma anche notte dello spirito. Ma era notte anche per i Dodici che, spinti da Gesù verso l’altra sponda, simbolo di terra pagana, si inoltrarono nella tempesta dei dubbi. In questa immagine Matteo racchiude le difficoltà della comunità di fronte alla vera identità del Nazareno. La formella del Ghiberti, seppure monocromatica, raffigura questo stato tenebroso in modo eccelso:  nel  totale appiattimento della realtà che circonda i protagonisti. Se si scorrono i bassorilievi  del portale si nota che solo due hanno questa caratteristica: quello che stiamo esaminando e quello dedicato all’arresto di Gesù nella notte del Getsemani. Entrambi sono caratterizzatei dalla totale nullità dello sfondo. E cosa sono le tenebre esistenziali se non il totale annullamento della realtà?

Il vento

Il secondo simbolo è il vento.  È segno di vita, è il respiro stesso di Dio, ma può diventare tempesta sconvolgente è distruttiva. Anche questo particolare il Ghiberti lo raffigura in modo emblematico nell’impetuosità delle onde del mare ma sopratutto nell’inclinazione dell’imbarcazione che quasi si piega  alla portentosità del vento.

L’acqua

Ultimo elemento è l’acqua. Simbolo di vita,  diventa mortale se riferita al diluvio e alle onde caotiche del mare in tempesta. È proprio questo l’elemento del miracolo. Il mare della Galilea, fonte di vita e sopravvivenza per i tanti abitanti delle  coste, quella notte di tempesta, diventa mortale per i  dodici. Ma, proprio per questo, esso, ancora di più esso diventa simbolo teofanico.

 Per  le pagine bibliche , il  mare è ricordato come l’ostacolo superato per ottenere la libertà. Dio mirabilmente trionfa sul male squartandolo, questo il termine tradotto alla lettera, proprio come si squarta un animale. Nel salmo136,13 leggiamo: squartò il  mar Rosso in due parti perché eterna è la sua misericordiaIl mare è l’inconsistenza, è l’ignoto che racchiude il pericolo. Dio domina la prepotenza del mare. [Dio] stabiliva al mare i suoi limiti, sicché le acque non ne oltrepassassero la spiaggia. Così proclama il  Libro dei Proverbi. Ecco perché Gesù, camminando sulle acque, non fa un prodigio magico, non mette in mostra  la sua potenza, ma rende manifesta la sua natura divina.  Il miracolo diventa Teofania, mistero della Rivelazione divina.

La barca

C’é un ultimo simbolo: la barca con i dodici, la Chiesa.  Non è un caso che l’opera analoga, disegnata  da Giotto, che troviamo mosaicata nell’atrio della Basilica di san Pietro in Vaticano, ha per titolo La navicella di san Pietro. L’immagine  percorre la letteratura patristica fin dalle origini. Nel simbolismo della nave, frequente anche nella cultura profana, la teologia patristica ha letto la vita concreta della Chiesa: i pericoli della navigazione, la comune meta dei naviganti,  l’equipaggiamento di personale e di strumentazione che permettono di raggiungere la meta.   Ippolito di Roma è il primo autore cristiano a chiarire tale simbologia: (De Antichristo, 59): il mare è il mondo, la nave è la Chiesa, l’esperto pilota Cristo, l’albero maestro il trofeo della croce, i due timoni l’Antico e Nuovo Testamento, la prua e la poppa l’Oriente e l’Occidente, la bianca vela lo Spirito Santo.  Tutti elementi ben evidenziati nel bassorilievo.  Il Ghiberti ha raffigurato la nave  in una prospettiva che va dal basso verso l’alto: sembra evidenziare la meta ultima a cui e per cui la Chiesa tende: la Vita eterna.

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