Dall’alto di un sicomoro

La liturgia  della prossima domenica  ci propone uno degli episodi più singolari del Vangelo lucano: l’incontro tra Gesù e Zaccheo. Il Nazareno sta attraversando la città di Gerico, rinomata stazione climatica e posto di controllo doganale dell’amministrazione romana;  lì vive Zaccheo, capo dei controllori e personaggio ambiguo per i suoi sinistri intrighi con l’oppressore. Non ci è dato di sapere cosa spinge quest’uomo, odiato da tutta la popolazione, verso Gesù: semplice curiosità o qualcosa di più profondo. Certo è che si arrampica perfino su un albero e, dall’alto di un sicomoro ,  vede Gesù che lo chiama per nome e si autoinvita a casa sua.

Un racconto importante, ricco di significati e che si presta a molteplici interpretazioni. Noi ci soffermeremo sui tre particolari, i due protagonisti e il sicomoro, terzo protagonista indiscusso. C’è una miniatura medievale, che sembra fare la nostra stessa scelta.

Gesù e Zaccheo, miniatura medievale.

 

In uno spazio quadrato, dallo sfondo aureo, sono inscritti  un cerchio e un ovale. All’interno è raffigurato l’incontro. Dal basso il Figlio di Dio che chiama Zaccheo posto sopra l’albero.  E’ Gesù che prende l’iniziativa; è il Figlio di Dio che, dal basso guarda Zaccheo che quasi non si vede in mezzo ai rami. Uno scambio di sguardi e delle parole:  Zacchaee, festinans discende. Il miniaturista le ha scritte, perché sono Parola di Dio che,  sgretolando  gli spazi troppo angusti del tempo che scivola via,  diventano  invito per tutti gli osservatori, di tutti i tempi.

I rami del sicomoro si sviluppano  in modo originale: sembrano delineare  un labirinto, con una serie di cerchi  concentrici, interrotti in certi punti, in modo da formare un tragitto bizzarro ed inestricabile.  Fanno venire in mente un Nodo di Salomone, simbolo del legame indistruttibile tra Dio e la sua creatura. Lo sguardo di Gesù, ha aperto una voragine nel cuore indurito del peccatore Zaccheo; ha iniziato un processo di ‘non ritorno’, che si completerà solo nell’intimo della casa, nella spontaneità di una mensa condivisa. Solo lì quell’uomo, simbolo dell’intera umanità, potrà trovare la vera risposta alle sue solitudini.

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