Tantum Ergo

Un arduo confronto

E’ possibile far abbracciare classico e moderno? Sacro e profano? E’ possibile che l’inno eucaristico ufficiale della tradizione liturgica, il Tantum Ergo, possa interagire con un quadro che, per alcuni, rasenta la blasfemia?


Salvator Dalì, Ultima cena, 1955, National Gallery of art, Washington.

Noi ci proviamo, ispirati dalla liturgia di questa settimana che celebra il Corpus Domini, scusandoci fin d’ora se colpiamo la sensibilità di qualche lettore.

L’antico Inno

Il Pange Lingua, le cui ultime strofe definiscono il Tantum Ergo, fu composto da san Tommaso d’Aquino, su incarico del papa Urbano IV, per celebrare la festa del Corpus Domini.  L’inno, così come tutta la festa eucaristica ha una forte valenza ecclesiologica: è la Chiesa, Corpo Mistico che celebra e adora il Corpo Sacramentale del Signore. Come autorevolmente afferma il Vaticano II: nella santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua.[Concilio Vaticano II, Decr. Presbyterorum ordinis, 5: AAS 58 (1966) 997].

Veniamo ora all’opera d’arte: è l’Ultima Cena di Salvator Dalì, dipinta nel 1955 e oggi custodita al National Gallery of Art di Washington.

L’opera

Pur ispirandosi alla tradizione iconografia dell’episodio  evangelico, in modo particolare all’affresco di Leonardo, Dalí cerca di sgretolare le regole classiche della raffigurazione: ciò che resta è una lunga mensa, su cui c’è il pane e il vino ed intorno tredici persone.

La persona centrale è Cristo, ha le mani e le braccia maschili mentre il volto è femminile. Alcuni studiosi lo hanno identificato con quello di Gaia, compagna dell’artista. È questo particolare che ha scandalizzato facendo gridare alla blasfemia. Ma, guardando con attenzione, si nota che il corpo di Cristo è trasparente, spirituale  e  appare nel mare della baia di Port Ligat che funge da sfondo. Una barca, simbolo ecclesiologico, galleggia proprio in corrispondenza del costato di Cristo. Sembra leggervi le parole del Catechismo che, citando sant’Ambrogio, afferma: la Chiesa è nata dal cuore trafitto di Cristo morto sulla croce. (ccc766, Sant’Ambrogio, Expositio evangelii secundum Lucam, 2, 85-89: CCL 14, 69-72 (PL 15, 1666-1668). Alle spalle di Cristo una figura umana di cui non si vede il volto. Per alcuni è riconducibile all’episodio della Trasfigurazione; per altri è Dio stesso, il cui volto, secondo le parole veterotestamentarie è inaccessibile [Cfr.  Es 33,18-23].

Intorno i dodici apostoli, simmetricamente disposti attorno a Gesù, sono genuflessi, con i volti abbassati in preghiera. Dodici è anche il numero che definisce l’ambientazione: la scena si svolge all’interno di un dodecaedro. Sembra voler dire che si sta parlando di ciò che accade all’interno della Chiesa. L’opera di Dalì è la raffigurazione della Chiesa che contempla il Suo Signore.

È la Chiesa orante che adora il suo Signore e  proclama: Tantum ergo sacramentum veneremur cernui, et antiquum documentum novo cedat ritui.  Il volto di Dio, prima inaccessibile è ora visibile in Cristo e, nell’Eucarestia si fa dono, si fa nostro nutrimento, si fa nostra Comunione.