La carezza di un Padre

L’ultima carezza

Provate ad andare con la mente all’ultima carezza avuta da un vostro genitore. Appena qualche ora fa o in tempi lontani …Non importa il quando! Quel gesto ha sicuramente impresso in voi conforto per un torto ricevuto o forse coraggio per un ostacolo troppo arduo da superare o fors’anche fiducia in voi stessi…in quel momento vi ha cambiato la vita. Così è la Misericordia di Dio: la carezza di un Padre!

E Gesu’, per rivelarci questo infinito amore misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in benignità e fedeltà (Es 34:6) utilizza proprio l’abbraccio accogliente di un Padre verso il figlio che ritorna alla casa natìa. E’ la  parabola del Padre Misericordioso che ci viene presentata nelle letture della prossima domenica

Un’opera maestosa

Molte sono le opere d’arte, veri capolavori, che si sono ispirate a questo racconto evangelico. Tra esse, forse la piu’ bella, sicuramente la piu’ famosa e conosciuta, è quella del pittore fiammingo  Rembrandt Harmenszoon van Rijn, oggi conservata nel Museo dell’Ermitage a san Pietroburgo.

Il pittore fiammingo dipinse questa tela, dalle dimensioni maestose, nel 1668, pochi anni prima di morire, in un periodo non semplice per lui; l’opera è il testamento esistenziale di una vita spesa fondamentalmente per l’arte.

Rembrandt van Rijn, Il ritorno del figliuol prodigo, 1668, Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo.

La scena si svolge sull’uscio di una casa ricca: si scorge il pilastro di un maestoso portone abbellito da sculture marmoree.

Una luce radente permette di scorgere tutti i personaggi presenti all’incontro: i due protagonisti, alla loro sinistra il fratello maggiore con un altro uomo, alle loro spalle due donne.

Il ritorno

L’artista ha fissato il momento preciso dell’incontro, il padre e il figlio sono uniti in un abbraccio armonioso tanto da renderli un’unica realtà. Il figlio ripara il capo nel grembo del padre…è il ritorno all’origine! Abbiamo qui la spiegazione iconografica di uno dei termini con cui la Bibbia definisce la Misericordia divina: rahamin, plurale di rehem, termine che evoca il seno materno, ‘luogo’ dove siamo generati. Ricevere la misericordia divina significa proprio questo, ritornare al cuore del nostro essere, alla sorgente della vita, e, con Dio, scoprire l’essenziale della nostra esistenza.

I protagonisti

Il capo rasato del figlio ricorda il momento della nascita, quando i capelli sono solo un’esile peluria. Il vestito logoro e in brandelli rimanda ad una dignità regale andata perduta; unica memoria di tale condizione  è lo spadino che ancora compare sul fianco.

L’artista, pur nascondendo il viso di questo figlio pentito, ne evidenzia invece i piedi, laceri, con calzature ormai logore: troppo lontano da casa lo avevano condotto i falsi idoli e l’esasperato egoismo scambiato per libertà che gli aveva fatto perdere tutti i suoi beni;   il cammino del ritorno è stato lungo e faticoso. Ma è arrivato, ora è a casa, di nuovo tra le braccia dell’amore.

Ed eccolo il padre, è il personaggio centrale di tutta la scena; è un uomo anziano, ricco: indossa una tunica sontuosamente ricamata d’oro e un mantello porpora. E’ cieco…per la vecchiaia…per il troppo guardare l’orizzonte con la speranza di scorgere il ritorno del figliolo…è cieco d’amore per lui. E proprio quell’amore, come luce sorge da quel viso  e si espande su tutta la scena.

Accoglie il figlio tra le braccia ancora portentose, tanto da diventare un tutt’uno con lui. In primo piano scorgiamo le mani, fulcro di tutta la scena. A ben guardare sono diverse, quella di sinistra è forte, massiccia e muscolosa: è la mano di un uomo! Quella di destra invece è piu’ sinuosa, delicata. E’ una mano femminile che accarezza teneramente. Sì perché quel padre simboleggia il Padre, l’Eterno, che è padre e madre insieme.

Alla destra del padre emerge una figura diritta, rigida che quasi si oppone alla sinuosità dell’abbraccio: è il fratello maggiore. Vestito con un mantello uguale a quello del padre, ha la stessa dignità eppure non riesce ad assorbire la luce che dal padre si diffonde.

I personaggi minori

Infine ci sono altri tre personaggi: un uomo e due donne. Sono i servitori citati da Luca? Viste le loro posture ed espressioni sembrerebbe di no! Allora chi sono? Il primo uomo è posto, ben in evidenza, a fianco del fratello maggiore; gli studiosi hanno dato di lui varie interpretazioni. La prima donna, anziana, è quasi nascosta dal pilastro del portone. Di lei colpisce lo sguardo. Per alcuni storici dell’arte può rappresentare una serva che guarda con stupore ciò che sta accadendo. Ci piace pensare invece che è la madre di quei due giovani, e quegli occhi sono così perché troppo hanno pianto per la preoccupazione di un figlio lontano. Infine l’ultima donna, è giovane, nascosta tra le ombre della raffigurazione; interpretata come una serva che guarda senza interesse la scena. Ma possiamo tentare un’interpretazione globale dei tre: essi rappresentano il tempo…la vita di quel figlio…e la nostra vita. C’è il presente, in primo piano, quasi impercettibile se non fosse che lo ‘stiamo vivendo’; ‘guarda’ le nostre scelte. E’ rappresentato dall’uomo seduto comodo, con le gambe a cavalcioni, guarda, apparentemente disinteressato tutta la scena. C’è il passato, vecchio, ormai andato, ma è da esso che noi proveniamo. E’ raffigurato dalla donna anziana, che stupita osserva ciò che sta accadendo. C’è infine il futuro, giovane, ancora da vivere ma è verso di esso che siamo protesi. E’ raffigurato dalla giovane che quasi non si vede nella scena. E’ il futuro, quello assoluto, che ci attende nella Casa del Padre.